sabato 9 agosto 2008

Social card e legalità in Italia


Riportiamo alcune riflessioni che ci hanno mandato gli amici del PD di Chiampo.

Una risposta al disagio sociale: nella finanziaria c'è la social card.
Non siamo più europei nel nostro sistema di welfare, siamo diventati americani. La social card, come ha detto il ministro dell'Economia, è l'esportazione di un grande strumento, come la tessera alimentare degli Usa, la food stamp che viene assicurata a 26 milioni di lavoratori in modo universalistico, senza distinzione di sesso, razza, religione e cittadinanza, e che in Italia, in proporzione, dovrebbe essere assicurata a cinque milioni di cittadini. Sarà assicurata invece a 500 mila persone alle quali si darà il marchio della tessera della povertà, perché i diritti non sono più diritti delle persone ma sono privilegi e concessioni del Governo.

Un governo che si prepara a fare una legge federalista ma intanto espropria i Comuni di una delle prerogative più importanti, quella di realizzare le politiche sociali, politiche universalistiche e non concessioni (Abolizione dell'ICI: l'unica tassa "federale"). Sarebbe stato troppo infatti dare 400 euro a ogni famiglia davvero bisognosa attraverso un trasferimento diretto di denaro che liberamente quella famiglia poteva utilizzare. Per poter avere quella social card bisogna subire l'umiliazione dello stampo di povertà.

Questa è l'Italia dei ministri Tremonti e Brunetta. E' l'Italia che blocca ogni processo di liberalizzazione e ogni lotta ai privilegi. E come potrebbe combattere i privilegi un governo che si fonda sul privilegio di uno solo? Un governo che non fa nulla per ridare al paese mobilità sociale essenziale per la crescita e il futuro dei giovani.

Un macigno sulla strada del dialogo: sotto l'urgenza dei problemi giudiziari del presidente del Consiglio, il governo scavalca la Costituzione, mortifica il Parlamento e con la forza dei numeri impone l'approvazione di un provvedimento che non ha precedenti in alcun sistema democratico parlamentare come il nostro.

Un provvedimento che per sospendere un processo a carico di Silvio Berlusconi prefigura un sistema abnorme di impunità, in modo peraltro pasticciato, per le più alte cariche dello Stato. Si dice che occorre mettere fine all'emergenza giustizia e chiudere una presunta anomalia italiana nel rapporto tra magistratura e politica.

Il salva processi e il Lodo Alfano, che sono indissolubilmente legati, non avrebbero alcuna attinenza con il processo in corso a Milano, perché, afferma l'on. Ghedini (avvocato personale di S. Berlusconi), l'on. Berlusconi non se ne avvarrà, perchè si risolverà con l'assoluzione del premier. Ma allora a che serve?

La risposta dell'avvocato difensore del premier è a dir poco inquietante: "I processi si devono sospendere per il bene del paese e non di Berlusconi". Il lodo serve insomma a "governare con serenità" e, ha ripetuto l'on. Pecorella, assicurare la stabilità politica che da troppo tempo manca all'Italia.

Ma si può fare il bene dell'Italia se la giustizia non è al servizio di tutti, se la legge non è uguale per tutti, se la serenità di chi governa è affidata ai suoi privilegi e alla sua immunità anziché alla sua retta coscienza? E' come dire che la legittimazione del popolo sospende il valore della legalità e solleva chi detiene il potere dal rispetto della legge.Il nostro presidente del Consiglio ci ha detto: la legge la faccio io. C'è chi ha parlato di "sultanato". Torna alla mente un dialogo pubblico, a Monaco di Baviera, tra il filosofo Habermas e l'allora cardinale Ratzinger su "I fondamenti morali prepolitici dello Stato liberale". In quel dialogo il futuro pontefice affermava: "E' compito della politica sottomettere il potere al criterio del diritto e in tal modo ordinarne l'uso sensato". E aggiungeva che se il diritto non appare come "espressione di una giustizia che sia al servizio di tutti ma come prodotto di un arbitrio, di una pretesa di essere nel diritto solo perchè si detiene il potere su di esso" è inevitabile alimentare nei cittadini "il sospetto verso il diritto e la legalità" e minare l'autorevolezza e la dignità della politica.

Il dialogo tra forze politiche può esserci quando, tra le parti c'è rispetto e ci sono condizioni di equilibrio. Non può esserci un dialogo sereno con chi è gravato da un gigantesco conflitto di interesse e ha preteso e ottenuto di dettare leggi su misura e garantirsi immunità.

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